Quali impatti può avere sulla filiera dell’auto in Italia la crisi del mar Rosso?

Alcuni giorni fa l’ANFIA (l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) ha diffuso un sintetico documento che analizza gli impatti della crisi del mar Rosso sull’industria automotive in Italia. Ovviamente quanto sta succedendo in Medio Oriente con la difficoltà di attraversamento del canale di Suez, espone il mercato globale a rischi inflativi, mentre la riorganizzazione del commercio mette a rischio le produzioni.

Il mar Rosso – per la sua posizione strategica e per il fatto che le sue acque bagnano le coste di diverse nazioni – è una regione di grande importanza geopolitica ed economica che negli ultimi anni ha affrontato una serie di sfide con dinamiche complesse ed evidenti preoccupazioni a livello internazionale.

La guerra civile in Yemen ha portato a un aumento delle attività di pirateria lungo le rotte commerciali nel mar Rosso e nel golfo di Aden, mentre i conflitti in nazioni non lontane come Sudan e Sud Sudan contribuiscono ad aumentare le tensioni locali e a minare la stabilità nella regione.

Il mar Rosso è una delle rotte marittime più trafficate al mondo, con un flusso costante di petrolio e merci che l’attraversano. Quindi, la sicurezza delle rotte è di fondamentale importanza per l’economia globale e per la sicurezza energetica di molte nazioni. Qualsiasi interruzione del trasporto marittimo nel mar Rosso ha gravi conseguenze sull’approvvigionamento energetico e sul commercio internazionale.

Il punto critico del passaggio nel mar Rosso è lo stretto di Bab el-Mandeb, una piccola strozzatura dove i recenti attacchi dei droni alle navi commerciali da parte delle forze Houthi dello Yemen hanno avuto come conseguenza l’arrivo di navi da guerra di diversi Paesi a pattugliare l’area, mentre molte navi commerciali stanno scegliendo di percorrere la rotta – più lunga, più costosa e tuttora più pericolosa – intorno all’Africa per raggiungere il Mediterraneo.

Largo 20 miglia nautiche (quasi 40 chilometri) e lungo 70 (circa 130 km) lo stretto di Bab el-Mandeb separa il Corno d’Africa dalla punta meridionale della Penisola arabica e costituisce in pratica l’ingresso meridionale del mar Rosso dal golfo di Aden e dall’oceano Indiano. Il nome è già di per sé una garanzia: infatti, Bab el-Mandeb in arabo significa “porta delle lacrime” o “porta del lamento funebre”, da bab (porta) e mandeb (o mandab, lamento). La stretta via d’acqua è piena di correnti, venti, scogli e secche con molte navi naufragate nel corso dei secoli.

Sembra che da questo stretto tratto di mare siano passati i nostri progenitori Sapiens milioni di anni fa quando dall’Africa migrarono in Medio Oriente e poi nel resto del mondo, quando la faglia del mar Rosso ancora non era aperta. Accuratamente evitato nel Medio Evo (quando si preferiva il percorso via terra) dal 1869 con l’apertura del canale di Suez il transito di navi da e per l’Oriente in quelle acque è aumentato a dismisura, fino a raggiungere i livelli odierni.

Ma che cosa sta succedendo in quel lembo di mare? Dopo lo scoppio in ottobre della guerra tra Hamas e Israele, i gruppi militanti sostenuti dall’Iran in tutto il Medio Oriente – compreso quello armato yemenita Huthi – hanno manifestato sostegno ai palestinesi e minacciato di attaccare militarmente Israele intimando agli Stati Uniti di non intervenire, paventando ritorsioni con droni e missili.

Gli Huthi hanno quindi lanciato una serie di attacchi contro le navi mercantili di passaggio nello stretto di Bab el-Mandeb, attacchi che da dicembre sono aumentati di numero, diventando una minaccia per il commercio internazionale. Alla risposta di Stati Uniti e Gran Bretagna con la presenza di navi da guerra nel mar Rosso, i ribelli yemeniti Huthi hanno risposto con nuovi attacchi.

In questo difficile contesto dalle intricate ripercussioni diplomatiche e militari, appare evidente che un’interruzione prolungata degli scambi commerciali potrebbe provocare un effetto inflativo a catena, in particolare per l’energia: infatti, il 12 per cento del petrolio trasportato via mare e l’8 per cento del gas naturale liquefatto (GNL) transitano attraverso il canale di Suez. E nel mar Rosso passa circa il 10 per cento del commercio marittimo globale, dall’Asia all’Europa e viceversa. Appare evidente che le offensive degli Huthi sollevano preoccupazioni per l’impatto sui flussi di petrolio, di grano e più in generale di tutti i beni di consumo in arrivo in particolare dalla Cina.

Secondo l’analisi dell’ANFIA, la regionalizzazione del conflitto tra Israele e Hamas può provocare un indebolimento nella crescita dei Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA, Middle East and North of Africa), una crescente instabilità e un aumento dei costi dell’energia. Inoltre, le interruzioni della supply-chain – il processo che permette di portare sul mercato un prodotto o un servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente – potrebbero provocare ritardi nelle consegne, aumenti dei costi di spedizione e possibili interruzioni della produzione, per mancanza di materie prime e componenti. Verrebbe così a verificarsi un rischio inflativo con una conseguente incertezza delle Banche Centrali.

Come detto, gli attacchi degli Huthi alle navi nel mar Rosso hanno costretto molti armatori a ripianificare le proprie rotte, circumnavigando l’Africa. Ciò sta comportando rispetto a dicembre 2023 un calo del 55 per cento del traffico di navi nel mar Rosso, un aumento dei costi di trasporto dei container nella tratta Asia-Europa del 173 per cento e un allungamento dei tempi del viaggio di circa 10 giorni, seguendo la rotta intorno all’Africa.

E come conseguenza i transiti nel Mar Rosso calano costantemente e cresce l’incertezza. Il volume medio delle merci in transito nel mar Rosso è del 63 per cento in meno rispetto alla media calcolata a settembre 2023.

Il costo del trasporto di un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam è aumentato dai 1.667 dollari statunitensi di fine dicembre 2023 ai 4.984 del 25 gennaio 2024. E quello da Shanghai a Genova nello stesso periodo è passato da 1.956 a 6.385 dollari. È evidente che il costo delle merci importate da Cina e dall’Asia in generale sta considerevolmente aumentando per i consumatori.

Nella survey preparata dall’ANFIA – che ha coinvolto circa 70 aziende di varie dimensioni tra nazionali e internazionali legate alla filiera dell’automobile in Italia – sono state analizzate diverse situazioni per verificare le sensazioni degli industriali nell’affrontare questa crisi. Solo il 16 per cento ritiene che la propria industria non avrà ripercussioni dai fatti del mar Rosso, e tra l’84 per cento di chi si aspetta rincari, i principali impatti negativi dovrebbero essere causati dall’allungamento dei tempi di consegna (34,9 per cento), dall’aumento del costo dei noli (31,6 per cento), dalla difficoltà nell’approvvigionarsi di materie prime o componenti (16,4 per cento) e dalla difficoltà nel programmare la produzione (11,8 per cento).

Alla domanda che chiedeva di specificare quali materie prime o componenti sarebbero maggiormente a rischio, il campione ha risposto: materie prime (36,4 per cento), componenti elettronici (14,3 per cento), semiconduttori e materie plastiche (entrambi al 10,4 per cento) e componenti meccanici (6,5 per cento).

Va segnalato che due terzi degli intervistati (il 66 per cento) non ha registrato interruzioni nella produzione dei costruttori clienti a causa di ritardi o mancanze di componenti, come hanno invece segnalato lo stabilimento tedesco di Tesla e le linee di produzione europee di Volvo e Suzuki.

Alla domanda “quali provvedimenti o accorgimenti sta prendendo l’azienda per far fronte alla crisi?” le risposte si sono concentrate su tre assi. Il 35,4 per cento sta valutando soluzioni di trasporto alternative, come per esempio l’aereo; il 33,3 per cento sta pensando di dotarsi di scorte di sicurezza, il cosiddetto stockpiling; e il 20,2 per cento sta ipotizzando di utilizzare fornitori alternativi in Europa o in Italia.

Sulla possibilità di interruzioni nella filiera produttiva, il campione si spacca, con il 35,9 per cento che crede di no, il 31,3 per cento che è di parare contrario e il 32,8 che non sa esprimere un’opinione in merito.

In sintesi, in una situazione ancora non del tutto chiara e per nulla definita, le industrie legate al settore automotive in Italia stanno adottando una serie di misure per affrontare la situazione nel Mar Rosso, concentrandosi sulla diversificazione delle rotte commerciali, sulla gestione del rischio, sulla collaborazione con partner locali e sull’adozione di tecnologie avanzate di sicurezza.

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