“La metamorfosi silenziosa”
La chiave di lettura la fornisce Erodoto, quando riferendosi alle mutazioni delle tante città da lui visitate, frequentate, osservate, scrive: “La maggior parte di quelle che un tempo erano grandi sono ora diventate piccole e quelle che nel corso della mia vita ho visto crescere e diventare potenti, avevano prima dimensioni molto ridotte”.
Lo storico di Alicarnasso aveva ben in mente quel fenomeno che è l’evoluzione dei luoghi vissuti da comunità di ogni dimensione, un processo inarrestabile che, in quanto tale, seguiterà a disegnare una mappa che non sarà mai la stessa.
Questa sua considerazione è più che appropriata nella presentazione dell’ultimo libro di Salvatore Tropea dal titolo “La metamorfosi silenziosa” – Torino era anche così, edito da Grafot, casa editrice con particolare sensibilità ai luoghi e al loro costante divenire, nel bene e nel male.
Come quello che da qualche decennio interessa la città della Mole facendo sì che agli occhi di un millennial, per dire l’ultima generazione, essa presenti aspetti misteriosi e spesso sconosciuti non essendoci la memoria a compensare.
Edifici, piazze, monumenti, celebri negozi, cinema, sedi di partiti e dei sindacati: questo è altro entra in una mutazione che per chi non ha ancora i capelli bianchi è esistito in una forma e con un ruolo che non sopravvivono più. Per cui diventa difficile immaginare Corso Marconi 10 come roccaforte della Fiat per anni trovandosi davanti a un palazzo popolato di uffici e residenze private. E altrettanto difficile vedere in quella grande banca che ha preso il posto del Cinema Corso i fasti degli anni ruggenti del cinema. E chi ricorda la libreria Campus di Femore trasformata in amburgheria? Chi ha memoria del Moulin Rouge di Piazza Carlina? E la birreria Boringhieri? E poi il potere politico che era di casa in via Schina col Pci e in via Carlo Alberto con la Dc e in corso Palestro con i socialisti disperso in anonime e modeste sedi. Come le mitiche case dei sindacati che a Torino hanno fatto la storia. Non è come potrebbe sembrare una questione di nostalgia per la ragione che molti cambiamenti erano inevitabili e necessari.
Ma è pur sempre una mutazione che, a ben vedere, ha a che fare con i ruoli e dunque con l’identità di Torino che, al di là dei luoghi e delle persone, mostra segni di declino non sempre surrogati da un “nuovo” in grado di non far rimpiangere il vecchio. In questo senso “La metamorfosi silenziosa” finisce di essere un gioco della memoria e offre l’occasione per un bilancio di ciò che è stato fatto e di ciò che resta da fare: con una particolare attenzione alle forme degenerative imposte dalle grandi catene commerciali e da gruppi di interesse che non hanno certo a cuore il “com’eravamo” e tendono a cancellare tutto non solo agli occhi dei giovani ma anche alla memoria dei non più giovani.
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