Il Motorsport non è un videogioco per ragazzini

Viviamo in un mondo in cui tutti devono correre a velocità supersoniche. Perché altrimenti è troppo tardi. Un mondo dove le tappe si devono bruciare come cerini, altrimenti si è fuori. Un mondo intriso di virtuale in cui i ruoli si possono anche improvvisare e le competenze sono sottovalutate, superate, spesso misconosciute. E’ un mondo in cui la fatica di conquistare i propri traguardi non appartiene più al processo di crescita di nessuno. Perché solo gli stupidi perdono tempo ad arrampicarsi passo dopo passo. Un mondo, poi, in cui tutto è marketing. E le scelte, le azioni sono intraprese quasi esclusivamente per motivi di immagine. Per stupire. Per stravolgere i canoni, continuamente.
E in un mondo così, oggettivamente fatto così, stiamo vedendo da qualche mese un ragazzino di 17 anni pilota ufficiale in Formula 1. Quella vera, non quella dell’X-Box… E’ Max Verstappen, figlio dell’ex pilota Jos, ingaggiato da tempo dalla Red Bull e quest’anno lanciato direttamente in Toro Rosso. Quando Max avrà l’età per prendere la patente, di weekend di F1 ne avrà già vissuti una quindicina. Nessuna F4 o F.Renault dopo il karting. Nessuna GP2 o World Series Renault prima di entrare nella categoria Top. Alla faccia del percorso propedeutico di crescita dei giovani piloti progettato da Gerhard Berger su input della FIA. E soprattutto alla faccia del buonsenso.
Ha preso il posto di Vergne. Che poi era il talento esordiente di tre anni fa. E che a soli 24 anni ha bruciato il suo tempo. Perché in tre stagioni in F1 non ha mai fatto il fenomeno, magari anche perché ha corso su una vettura di secondo piano. Ma è stato comunque fatto fuori. A 24 anni. E si è riciclato come collaudatore Ferrari, nemmeno male. Fatto fuori, né più né meno, come il suo ex compagno di squadra spagnolo Jaime Alguersuari, lanciato a 19 anni e gettato a 21. Perché così va questo mondo….
Premetto subito che non è nel mio stile rimanere stolidamente ancorato alle consuetudini, ostile alle rivoluzioni. All’insegna del “si è sempre fatto così”. Anzi. Ma voglio commentare i fatti. Come sempre attento ai valori ed alle competenze. Ma anche tremendamente ostile a qualsiasi pretesa di millantare crediti o meriti. E soprattutto rispettoso del valore dell’esperienza e della fatica per guadagnarsela.
E allora non posso fare a meno di andare al recente GP di Montecarlo. Accade infatti che, a dieci giri dalla fine, il bambino prodigio Verstappen si “ingarelli” con Grosjean per il prestigio della decima posizione. Un po’ di giri a tre centimetri dall’alettone posteriore della Lotus. Un po’ di staccate al limite all’uscita del tunnel per individuare lo spazio per infilare un alettone. Poi si arriva in fondo al rettilineo del traguardo ed ecco che il bambino prodigio cambia videogioco e si infila nel tunnel della follia.
Primo, non si ricorda che in pista la scia si sente eccome e quando la prendi ti risucchia senza pietà. Secondo, si dimentica di frenare al solito punto di staccata. Terzo, sbaglia le distanze e prende in pieno il posteriore della Lotus sradicando la propria ruota anteriore sinistra. Quarto, non avendo più spazio né energia disponibile (e nemmeno un’ancora) per rallentare la sua Toro Rosso e gettarla in curva, si infila a velocità folle contro le barriere alla St.Devote. Game over. Fortunatamente il livello di sicurezza raggiunto dalle F1 odierne, insieme alle condizioni al contorno intese come come barriere o spazi di fuga, ci consente di raccontare in serenità l’episodio sapendo che il pilota ne è uscito completamente indenne. Ma è un esempio, chiaro e definitivo, di come l’esperienza e la maturità non si comprino in farmacia. Ma serva tempo. Anche se si ha la fortuna di avere un talento non frequente.
Anche perché purtroppo Max Verstappen è solo la punta dell’iceberg di un sistema perverso che, preso dalla frenesia di bruciare tutte le tappe, sta portando frotte di ragazzini sempre meno esperti a guidare vetture sempre più potenti. E sempre prima. Rischiano di fare danni. A se stessi e ad altri. Perché il Motorsport non è un videogioco. E io, ripeto, continuo a ritenere che si debba crescere per gradi, un passo alla volta.
Qualche settimana fa, nel weekend di Monza della F3 Europea, dopo l’ennesimo incidente, la Direzione Gara ha sospeso la corsa. Prima volta nella Storia. Era un modo per dare un giro di vite a piloti, team, manager e genitori a riportare il tutto su una via meno esasperata. Quindici giorni dopo a Spa-Francorchamps, non certo un circuito per bambini, dopo soli 5 giri della Gara 2 è avvenuta l’ennesima dimostrazione di quanto questi ragazzini facciano ancora fatica a capire cosa vuol dire correre a certi livelli. Per davvero. E non con l’X-box. In fondo al lungo rettilineo di Les Combes si sono affiancate ben tre vetture, in prossimità della staccata. E il ragazzino all’interno ha allargato la traiettoria incurante di spazi, dimensioni e tempi. Esattamente come capita a chi non ha esperienza. Fuori tutte e tre le vetture, ovviamente. Fortunatamente ancora senza danni ai piloti. Non importano i nomi dei ragazzini. E’ tutto molto chiaro. E’ il sistema che è sbagliato.
Ben vengano i talenti nel Motorsport. Ma i giovani vanno individuati, seguiti, formati, aiutati a crescere da tutti i punti di vista. Anche protetti, se serve. E aspettati. Per il loro bene, per il loro futuro. Lanciarli prematuramente in orbita sulla base di qualche indizio di talento semplicemente per stupire il mondo è assurdo. Magari per lasciarli poi soli alle prime difficoltà o semplicemente alle prime dimostrazioni di inesperienza (che arrivano sempre… come abbiamo visto anche negli esempi di prima). E scaricarli.
No, non è così che si fanno crescere i giovani. In nessuno sport. Meno che mai nel mondo delle quattro ruote dove si rischia per davvero. In proprio e nei confronti degli altri. E’ il buonsenso che dice questo. Il Motorsport non è un videogioco. Non ancora.

3 commenti
  1. Marcello
    Marcello dice:

    buongiorno,
    All’ingresso dei circuiti in Inghilterra (la patria dell’automobilismo) c’è una scritta: motorsport is dangerous. Su questo siamo tutti d’accordo. Io però non ne farei questione di età. Villeneuve (padre) non è di certo diventato un mito sulla base della prudenza e non era un ragazzino. Senna e i suoi doppiaggi? Mansell, Piquet etc. Forse il problema è che oggi siamo noi abituati al videogioco. Guardiamo una corsa sapendo che nessuno si farà male. Ed è bellissimo essere arrivati a questo, ma non è naturale. La velocità amplifica le conseguenze di qualsiasi impatto, le auto sono più sicure, ma molto più veloci. In più in Italia non c’è passione per il motorsport. Per noi è solo F1, anzi solo Ferrari. Dare spazio alle altre categorie forse farebbe si che la presenza di un pilota in F1 non sia per lui una puntata secca al casinó in cui deve fare per forza uscire il suo numero altrimenti si brucia. Se i media fossero più attenti non arriverebbero perfetti sconosciuti, ma ragazzi, piloti che il pubblico già conosce e che può seguire anche dopo. Leggi Webber alla 24 h di Le Masn

  2. Luca Pazielli
    Luca Pazielli dice:

    Bravo Giorgio hai toccato un argomento molto attuale quanto delicato. Nello sport oggi comandano i procuratori,molti senza scrupoli,che sono più attenti ai loro personali interessi piuttosto che alla carriera del loro “cliente”. Una volta si chiamavano Talent Scout….

  3. Gaveve
    Gaveve dice:

    Condivido lettera per lettera. E’ tutto il mondo che ha girato così. Spero che tutte le “nasate” che vengono battute quotidianamente, fisiche o morali, presto o tardi si capisca che vanno ricollegate a questa mancanza di esperienza, a tutta la presunzione che spesso si trasforma pure in spocchia, ad un “millantato credito” sempre più diffuso.
    Credo che questo sia dovuto alla “mezza generazione” prima, ovvero a direttori(ni) e dirigenti(ni) che non hanno la capacità di valutare chi gli si sta parando davanti e si bevono tutta l’autopromozione che in quest’era di Marketing e di PR professionisti-della-balla sta governando il nostro cortile, basta accendere un qualsiasi TG per vederlo; aprendo solo un pochino gli occhi.
    Questi sono danni incalcolabili che, se non salta di nuovo fuori la SOSTANZA, difficilmente si riusciranno a recuperare.
    Mi sembra di vivere in un mondo fatto come i prodotti cinesi della più bassa qualità. Colori sgargianti, cromature lucentissime, forme avveniristiche, funzionalità incredibili.
    Appena anche uno solo di questi aspetti viene messo alla prova, tutto ti si disintegra fra le mani.

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