Sono un modello Premium! Ma chi lo ha detto?

Fateci caso: il concetto di auto premium è diventato un elemento basilare della comunicazione. Tutte, o quasi, ormai si “sentono” premium. Perché la qualifica giustifica un incremento di prezzo e offre – in teoria – un vantaggio nei confronti della concorrenza. Colossi come i francesi di PSA hanno addirittura estrapolato dalla gamma Citroën un modello, trasformandolo in brand: DS. Pazienza se della mitica storica “Deesse” , che nel 1955 segnò una vera rivoluzione di stile e di tecnologia, i nuovi modelli DS3, DS4, DS5, non abbiano nulla. Ciò che conta è aggrapparsi a un’icona per tentare la sorte nel segmento, sempre più affollato e confuso, del glamour.
Stessa operazione sta compiendo Ford con il marchio Vignale (che i tedeschi pronunciano vigg-nale) riesumato dall’armadio per arredare i modelli più prestigiosi della gamma, da S-Max a Mondeo. Funziona? Mah! Il giudizio resta sospeso, nonostante i molti sforzi profusi.
La realtà è che non ci si può definire premium da soli. E’ la percezione esterna, il riconoscimento da parte degli altri, che ti conferisce lo status. Come il capitano di una squadra di calcio: la leadership deve essere certificata dai compagni, altrimenti quella fascia sul braccio non ti dà alcuna autorità.
Il concetto di auto premium sta inoltre rapidamente cambiando. C’è chi premium nasce, a prescindere dal prodotto, grazie a un Dna affermato. Saranno sempre premium una Mercedes (basta la stella sul cofano), un’Audi (emblema di stile e tecnologia), una Bmw (con la sua invidiata sportività). Loro non hanno bisogno di “definirsi”, tutto il mondo sa di cosa si parli. Tralasciando le supercar e le sportive di lusso, che vantano un diverso concetto di vetture premium, anche una Maserati può permettersi di non definirsi. Parla la storia, come testimonia l’azzeccatissima campagna pubblicitaria di Levante: “La Maserati dei Suv”.
Nascono premium anche riedizioni di icone del passato, ad esempio la Mini, la Fiat 500, con meno fortuna sotto il profilo delle vendite la Volkswagen Maggiolino. Qui gioca il fattore nostalgia, la tradizione che non tutti possono sbandierare. E le altre? Non basta vestire con l’abito di gala un modello “normale” per proiettarlo nel mondo premium. Il cliente ormai è scaltro, e anche molto esigente.
I tempi moderni però aiutano, perché oggi la differenza viene tracciata anche dalle tecnologie. Così Lexus, brand di lusso della Toyota, ha imboccato con grande successo la strada dell’ecologia, offrendo in Italia un’intera gamma esclusivamente ibrida. Altri marchi, come Infiniti (brand di lusso di Nissan) per ora preferiscono privilegiare lo stile e l’esclusività dei materiali. Ma saranno costretti a imboccare la stessa strada dell’ipertecnologia per differenziarsi. Un’altra differenza la fanno i servizi: chi offre una rete dedicata, che non faccia perdere tempo all’automobilista e riduca le seccature anche per l’assistenza e la manutenzione, segna un gol importante. Però non sempre i concessionari sono all’altezza dello status promesso. Anzi, in molti casi sono proprio loro l’anello debole della catena.

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