A chi interessa il destino dell’industria automobilistica italiana ?

Ci fu un tempo in cui una qualsiasi notizia riguardante l’industria automobilistica italiana, anche non necessariamente di spessore nazionale, suscitava nel paese reazioni che andavano dagli scioperi indetti dai sindacati alle prese di posizione, s’intende non sempre univoche, delle forze politiche.

Preistoria?

Non proprio, anche se per trovare conferme storicamente credibili occorre risalire alla fine del secolo scorso, una data a partire dalla quale nulla è stato più come prima.

Come si ricorderà nei ruggenti anni Settanta e fino ai Novanta era sufficiente l’aumento sempre più consistente del prezzo del carburante e si scatenava un mezzo finimondo che di fatto certificava l’importanza che il settore aveva da Torino a Termini Imerese.

Da due forse tre decenni non è più così e non soltanto per il prevalere sul piano produttivo e di mercato di settori tecnologici diversi dall’auto. E neppure per la progressiva uscita di scena dalla Fiat che pure ha contributo non poco ad accentuare il fenomeno i cui effetti non possono ancora dirsi del tutto esauriti.

La conquista della Chrysler prima e l’alleanza con i francesi di Psa poi sono state due scelte importanti in assenza delle quali il destino della Fiat sarebbe stato segnato da tempo e sarebbe stata una fine gloriosa. Resta però il fatto che una società, cent’anni dopo la sua nascita a Torino, abbia preso casa in Inghilterra e in Olanda lascia un segno come del resto si può constatare dando uno sguardo al numero attuale dei dipendenti e provando a seguire il susseguirsi di colloqui tra impresa, sindacati, enti locali (si potrebbe aggiungere anche il governo ma la cosa non cambierebbe, anzi).

È questo il punto da cui partire per misurare il persistente disinteresse che ha caratterizzato le scelte di politica industriale degli ultimi vent’anni. Una scarsa attenzione che appare ancor più grave per l’accorciarsi del tempo che ci separa dalle decisioni di Bruxelles in tema di motori elettrici.

Una lettura non distratta della stampa specializzata consente di mettere assieme senza difficoltà un quadro che mostra come alcuni paesi, anche fuori dall’Europa sono già avanti su questa strada e lo saranno di più quando vi arriverà il vecchio continente che intanto deve fare i conti con i problemi energetici.

Ora, c’è una buona metà dei nuovi (in qualche caso fantasiosi) ministeri del governo Meloni che hanno a vario titolo a che fare con l’industria dell’auto.

Dire che l’argomento sia entrato nei negoziati che hanno preceduto la formazione di questo governo sarebbe un eccesso di benevolenza e l’apertura di un credito immeritato verso i protagonisti per di più agevolati da un esito elettorale inequivocabile. Ci sarà un cambiamento di rotta? Naturalmente anche questa volta si dirà che bisogna aspettare di vedere il governo all’opera. E in attesa fingere o illudersi che possa andare bene. Il resto verrà dopo. (foto fenailp.it)

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *