Polvere di una stella

Ho letto il pezzo sulle Mini che ritornano in vita. Una gran bella cosa: perché ognuno è pure la sua memoria, quel che è stato anche attraverso gli oggetti che hanno accompagnato la sua vita. In modo pomposo potrei dire che ” ho avuto l’onore” di possedere una Mini, quella vera per intenderci non l’attuale o le attuali in ” diverse articolare versioni” come scrivono sussiegosi e algidi comunicati stampa.

Le mini di oggi mi paiono gonfie all’eccesso, anabolizzate nelle dimensioni, cicciose insomma, direbbe Charlie Brown indicative ed indicanti uno status sociale di chi ha una piccola che arriva e deriva da una grande storia ma ha tutti i must della modernità tecnica. Più che giusto per carità. Ci sarebbe piuttosto da domandarsi il perché del richiamare un’auto col nome di una vecchia di decine di anni fa. È la legge del marketing ovvio ma penso che ci sia sotterraneo ma vivo e presente il peso, la forza, la melanconia positiva di un nome che ha significato qualcosa nel cuore e nell’anima di molti. La 500 attuale è la stessa cosa “rimanda” e propone il moderno facendo leva sul passato. E il bello è che massima parte degli acquirenti delle attuali Mini e 500 sono di certo non dell’età di chi come me ha avuto il privilegio, l’onore, l’onere e talvolta il coraggio di avere una Mini vera. Insomma oggi con le Mini e le 500 nuove si compra o si si crede anche di comprare un ricordo. Il mio invece c’è davvero proprio perché ho avuto una Mini, quella vera, appunto. La mia, produzione Innocenti, versione MK2, era di terza mano, in assoluto la mia prima automobile. La sua targa iniziava con TO B2….. Roba da inizio anni settanta, insomma. La trovai in un autosalone di periferia. Ero con mia madre. Di Mini ve ne erano due. Una rossa come il fuoco col tetto bianco, insomma una versione come si dice a Torino “grama”, ovvero cattiva perché corsaiola almeno nella vernice. L’altra era bordeaux. Puntai sulla prima; mia padre pagava e scelse la seconda. La mia mini dunque era bordò con interni – mi fa ancora ridere la dizione in voga allora- in similpelle/skai. Aveva un volantino Momo e un sacco di km. Ma per me era il paradiso. Mia madre fu il mio primo passeggero. Commentò lapidaria: “comoda anche se “cita” (piccola) più che salire in auto si scende” Ma il mio primo vero giro lo feci con Franco, amico eterno, appena assunto alla Fiat dopo aver fatto la scuola allievi dell’azienda. Da buon tecnico notò subito qualcosa mentre salivamo verso le Maddalene in collina: Disse: “forse se togli il freno a mano tira di più” Esegui annichilito e mi parve di volare. Andare in Mini era comunque un’avventura. Le sospensioni denominate hidrolastic, erano più che altro un’ipotesi. Bastava pestare con le ruote un cartoncino e ballavi. Ma la tenuta di strada era eccellente. E poi nonostante il motore fosse il classico 850 cc ti sembrava sempre di andare forte. La mini la mia perlomeno, più che benzina beveva acqua. Avrò fatto aggiustare il radiatore che perdeva tante volte ma non vi era niente da fare. Alla fine nel piccolo modesto baule troneggiò un bel pintone d’acqua sempre pieno e pronto alla bisogna. La mia mini aveva i vetri delle portiere a doppio scorrimento, troppo lusso la manovella. Avevi così due possibilità. Aperto e tirato all’indietro il primo per arieggiare l’interno, aperto e tirato avanti il secondo per appoggiare il gomito sinistro per fare il ganzo. Il curioso era che il vetro posteriore si apriva a compasso, roba a quei tempi riservata a lussuosi coupè. Ho macinato per almeno 6 anni su questa Mini bordò i km migliori e forse più felici della mia gioventù bizzarra, incredula, ansiosa e speranzosa. Tra i tanti viaggi ne ricordo due: uno promesso a mamma ad Assisi dove tra l’altro un bravo, simpatico frate al cui piacevano le Mini, benedì la mia e l’altro verso il mare di Liguria dove avevamo trovato “a gratis” una casetta per fare capodanno. L’equipaggio era formato davanti da me e Franco (al solito) e dietro due belle ragazze. Tra noi e loro un mare di valigie. Franco viaggiò da Torino al mare con in braccio un televisore, piccolo però. Perché già allora eravamo schiavi dell’informazione. Di quanto abbia amato questa vetturetta basti dire che ogni tanto nei miei bislacchi sogni di sessantenne la ritrovo nei posti più disparati: il classico fienile, un parcheggio immenso in cui vi è solo lei, sotto casa. e rivedendola mi sento felice, direi rinato, perché penso che se c’è un oggetto che identifica la mia gioventù sia proprio la mia cara Mini bordeaux.

1 commento
  1. iGorji_N1
    iGorji_N1 dice:

    ill.mo vinai, almeno tu te la sei goduta sei anni….io solo due mesi!
    con sudati risparmi dei miei primi lavori, sono riuscito ad acquistare una mini cooper austin morris 1300 color beige con tettuccio nero (usata di un anno), erano gli anni che come qualcuno ha scritto “…la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole”, e la ricordo con nostalgia per la goduria che mi faceva provare sù per le curve della val di susa (sempre attaccata a terra) e in autostrada, dove con le lancia fulvia e le alfa gt junior se la giocava alla grande!
    avevamo organizzato con la tua amica anto (a cui piaceva moltissimo) un test drive, ma una mattina mi son svegliato e….”bella ciao, bella ciao”, la mini non c’era più!!!
    l’unica cosa che non ho rimpianto di questa macchina è stato il suo carburatore a doppio corpo, e penso che tu, arguto amico, capirai il perché!!!!

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